Il quinto articolo per il progetto "Chi sarà - Scienza in TrasformAzione"a cura di Paola Vitale e Liliana Putino, in collaborazione con Luisa Boffa e Sergio Vitale, pubblicati a partire dal 23 aprile 2020 all'interno della rubrica "Visto dal basso. Lo sguardo dello psicomotricista" tenuta da Sergio Vitale.
di Sergio Vitale
Nel libro di Quentin Blake, Zagazoo, (un albo meraviglioso edito da Camelozampa) una coppia felice riceve il proprio bambino tramite un pacco postale. Non hanno minimamente idea di cosa farne, sanno solo che si tratta di un esserino adorabile e così iniziano a palleggiarselo l’un l’altra creando un perfetto e ardito triangolo di emozioni, straordinariamente riassunto dalla grafica istintiva e ineguagliabile dell’autore.
Accade così, a volte, nelle fiabe. Un tempo c’erano le cicogne, a portare certi doni, o fiorivano sotto i cavoli in una versione più terrena dell’accadimento. Ora, ai tempi di Amazon, i pargoli arrivano col corriere. Per inciso, si tratta di una fantasia ormai abbastanza condivisa: lo abbiamo già visto più volte, nei giochi spontanei dei bambini, come un evento di questo tipo possa infiammare la loro fantasia. Forse perché un’eccitazione simile pervade anche i loro genitori, acquirenti compulsivi on line. Ma questo è un altro discorso.
Il punto è che la nascita talvolta è descritta come un arrivo inaspettato, qualcosa di magico, ben diverso da quanto accade nei tempi odierni, con gravidanze monitorate settimanalmente e dove l’immagine tridimensionale del futuro nascituro è già ben presente prima del suo concreto arrivo. Lo spazio dell’immaginario si è ridotto notevolmente e la magica imprevidibilità ha lasciato il posto a un controllo piuttosto ansiogeno dell’evento naturale. Con varie conseguenze, che non è nostro obbiettivo analizzare nel dettaglio. Se non per dire che l’immaginazione ha un posto rilevante, decisivo, nell'atto della nascita perché ha la funzione di creare uno spazio psichico all'interno del quale il bambino potrà trovare un posto adeguato, accoglienza e cura. È uno spazio che si crea nella mente e nella fantasia dei genitori, mentre il corpo della madre poco a poco riporta le tracce visibili di questo arrivo.
Non è detto che un bambino nasca al momento del parto. Può essersi già insediato nella fantasia dei genitori, a livello immaginativo, o può venire al mondo più tardi, come racconta, con coraggio, un altro straordinario albo illustrato, «Non sono tua madre» di Marianna Dubuc (ediz. Orecchio acerbo). C’è una nascita materiale, fisica, e una psicologica. Entrambe avvengono se la partecipazione dei genitori è intensa, emozionale e responsabile al tempo stesso. Ogni bambino nasce in noi se creiamo lo spazio opportuno perché questo avvenga. Nasce come studente, come sportivo, come beneficiario dei nostri interventi educativi e, ancora di più, terapeutici, quando abbiamo predisposto un luogo di pensieri e un luogo di emozioni destinati ad accoglierlo. È lì dentro che lui si svilupperà e che, come figlio, allievo, utente, poco a poco svilupperà la propria immagine di sé, in continuità ma anche in piena contraddizione con l’immagine che abbiamo forgiato per lui.
«Ciascuno cresce solo se sognato», diceva Danilo Dolci in una celeberrima composizione. L’educatore ha questo compito: sognare, immaginare il bambino in divenire, avere pensieri per lui: un progetto, un’idea di futuro, persino un’idea di mondo. E poi accettare che questo suo immaginario sarà oggetto di attacchi, persino furiosi, in nome dell’indipendenza e dell’autonomia.
In questi mesi i bambini sono rimasti, come noi, rifugiati nelle loro abitazioni. Ci siamo preoccupati per loro, giustamente, ed è difficile dire quali siano state le conseguenze di questo isolamento forzato. Forse ne avremo un’idea più precisa tra qualche mese, quando avranno modo di fare la differenza tra emergenza e normalità, una volta ritrovata – più meno –quest’ultima. Ma la casa che hanno abitato non era solo quella fisica, più o meno confortevole, era anche quella dei nostri pensieri, dei nostri discorsi e della nostra visione del futuro. È lì che si è mosso e che ha rimodulato la propria immagine di sé e della sua crescita. Se è mancato questo genere di spazio, non è un centro estivo che può restituirglielo, né il ritorno a scuola, ma solo il nostro pacato, realistico, generoso desiderio di sognare.
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