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Il Corpo nella scuola anti-covid

Aggiornamento: 19 set 2020

Una riflessione sull'importanza del gioco spontaneo in epoca di pandemia


- Il corpo – sia quello del bambino che quello del docente – è il grande assente. Corpo inteso come luogo principale della soggettività e dell’espressività di ogni persona.


- Gli spazi della scuola sono angusti oggi perché lo erano già prima, così come i temi della valorizzazione dell’agire spontaneo e del gioco, di un apprendimento esperienziale e di una pedagogia attiva faticano a imporsi nella metodologia didattica ed educativa perché non sono mai penetrati in profondità nel tessuto scolastico, al di là di pregevoli sforzi isolati o di illuminanti documenti ministeriali.


- Solo se manipolate, vissute, trasformate, le esperienze negative – inevitabili nella crescita e accentuate dal Covid – possono essere ridotte e metabolizzate, digerite da un corpo attivo che sa utilizzare tutte le proprie risorse.

di Sergio Vitale, psicomotricista, TNPEE, Specialista in Pratica Psicomotoria Aucouturier - PPA® e Formatore.


L’esplosione della Pandemia, oltre a creare nuove drammatiche difficoltà, ha fatto emergere tutti i limiti che già erano presenti a livello sociale, politico, familiare e perfino soggettivo. Per quanto attiene alla scuola, si è visto quanto sia stato delicato questo passaggio, anche se ora è il momento di guardare in positivo e di tifare per la scuola, perché tutto riprenda nel miglior modo possibile.

Questo non significa però far finta di nulla e pensare all'istituzione scolastica in maniera generica e acritica. A prescindere dalle intenzioni, dal buon cuore e perfino dalle «buone pratiche» di molti istituti e di molti insegnanti, nella scuola italiana da anni sono presenti questioni profonde che la situazione attuale rischia concretamente di amplificare.


Il corpo – sia quello del bambino che quello del docente – è il grande assente. Corpo inteso come luogo principale della soggettività e dell’espressività di ogni persona. Da molti anni, e non solo a scuola, ma a partire da un sentito e da un agito che è dell’adulto di oggi, il corpo del bambino risulta spesso iper-tutelato e contemporaneamente soggetto a restrizioni profonde. L’adulto osserva con ansia e apprensione lo sviluppo del bambino, caricandolo di attese e di proiezioni personali spesso fuori controllo. Sono bambini «preziosi», perché «rari», al centro di una cerchia di adulti, ciascuno investito da responsabilità e dotato di stili educativi non sempre in armonia con gli altri. Ma se la varietà dei punti di vista e dei riferimenti non costituisce di per sé un grosso problema (le «alternative» ai genitori molte volte aiutano i bambini a farsi un’idea più allargata e realistica del mondo reale), rimane il fatto che il bambino si ritrova al centro di una struttura educativa al tempo stesso poco coerente e assillante, disattenta e soffocante, dove l’apprensione, più che la visione pedagogica, rimane la cifra più caratteristica.

Il corpo protetto, tutelato, oggi anche ben distanziato dal resto del «corpo sociale», diventa ben presto un «oggetto esterno», di difficile manipolazione. Perché è vissuto dal bambino come «corpo di un altro», più che come fonte di esperienza e di emozione. È il corpo sul quale vigilano nonni e maestre, baby sitter e genitori, ma non è più il «mio corpo», se non in rari momenti in cui il gioco lo trascina via da questa situazione di iper-controllo, aprendo il bambino all'imprevisto, alla novità e a un fruttuosa relazione tra immaginario e reale.

Con questi presupposti, l’imbrigliamento imposto dalla normativa anti-Covid – distanziamento, divieto di contatto, uso della mascherina – sembra quasi creare una sorta di continuità con la filosofia educativa che regna – più che altro inconsciamente – nella nostra società. Non si tratta tanto di una rottura con il passato, ma quasi di una drammatica conferma. Il Coronavirus non è arrivato tanto come un’inaudita situazione accidentale, sembra piuttosto essere la realizzazione dei più terribili presagi della società postmoderna.


Di fronte a questa situazione sembrano esserci due reazioni opposte: quella della più totale connivenza ai dettati del Coronavirus o quella di una rivolta isterica e irrazionale, volta a negare totalmente la realtà. Ma senza una visione globale della situazione, senza un progetto pedagogico che guardi al recente passato oltre che alla stretta attualità, ci sembra impossibile trovare la giusta quadra della situazione.

Gli spazi della scuola sono angusti oggi perché lo erano già prima, così come i temi della valorizzazione dell’agire spontaneo e del gioco, di un apprendimento esperienziale e di una pedagogia attiva faticano a imporsi nella metodologia didattica ed educativa perché non sono mai penetrati in profondità nel tessuto scolastico, al di là di pregevoli sforzi isolati o di illuminanti documenti ministeriali. La Scuola nel bosco, la Scuola senza zaino e tante altre belle esperienze, molte delle quali fanno riferimento anche alla Cooperazione Educativa, si stanno facendo sentire come mai prima, fortunatamente, e ci sembrano le uniche voci ben accordate. Forse perché non si tratta tanto di esperienze reattive all'esplosione del Covid quanto di anticorpi già presenti, anche se minoritari, nel corpo dell'istituzione scolastica.


Come psicomotricisti e Specialisti in Pratica Psicomotoria Aucouturier non possiamo che augurarci il successo sempre maggiore di queste visioni alternative, dove si ritrova il bambino visto come soggetto attivo al centro del proprio processo educativo. Quello che forse ancora manca, anche qui, è una forte e convinta concezione del corpo come unità di emozione, azione e pensiero, supportata da una teoria e da una metodologia educativa coerente con una visione globale dell'essere, capace di superare la dicotomia tra mente e corpo che è sempre presente nel nostro sub-conscio educativo e didattico. E' questo che offre la Pratica Psicomotoria Aucouturier, nella sua dimensione filosofica e pedagogica, capace di tradursi concretamente in azioni educative e prassi relazionali. Ci sembra l’unico vero antidoto a una iper-razionalizzazione dell’educazione, che è già un dato acclarato, non solo per quanto riguarda la didattica ma anche per quanto concerne l’educazione familiare. Un tablet ben igienizzato non porta virus e trattiene il corpo da possibili contagi, al contrario della relazione diretta. Questa è la grande tentazione. Ma mai come in questi mesi abbiamo visto quanto possa essere «sanificante» l’esperienza diretta dei corpi al contatto con la natura o nel gioco spontaneo, alle prese con materiali «reali», con la frustrazione e il desiderio che solo nella relazione con l’altro si attivano in una dinamica positiva.

Solo se manipolate, vissute, trasformate, le esperienze negative – inevitabili nella crescita e accentuate dal Covid – possono essere ridotte e metabolizzate, digerite da un corpo attivo che sa utilizzare tutte le proprie risorse. L’esperienza astratta, solo cognitiva, al contrario fatica a contenere tutto ciò e spalanca le porte a dei processi di somatizzazione che – già lo vediamo – hanno come esito comportamenti ossessivi già a partire dalla prima infanzia, la fuga nel corpo «reale» e ipercinetico, incapace di permanere in una dimensione simbolica o, peggio ancora, il ritiro in sé e nell'inibizione corporea e affettiva. La "via del corpo" è quella che accompagna il bambino in una graduale acquisizione del campo simbolico: dal "far finta di" alla comunicazione con l'altro, dall'espressività motoria al piacere di pensare, si tratta di processi connessi tra di loro che non possono essere bypassati anticipando acquisizioni cognitive e mettendo da parte la corporeità del bambino, con tutti i "rischi" (legati al Covid e all'ansia dell'adulto) che essa può comportare. "Lasciate i bambini giocare" esorta Bernard Aucouturier, osservateli rimanendo un po' in disparte, cercate di imparare dai loro giochi e di comprenderne tutta la ricchezza e la profondità.

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