di Sergio Vitale
Un’ora d’aria ai bambini. Poi lo Stato non si fida – ha le sue ragioni – e si corregge. Per la Regione Veneto si tratterà piuttosto di una passeggiata sotto casa, a non più di 200 metri – 263 passi - mano nella mano con un genitore. Non rilassiamoci, comunque: anche se si vede una luce in fondo al tunnel, la clausura non è finita. E, dopo, non ci sarà il «libera tutti», ma la fase di convivenza con il virus.
Molti pedagogisti hanno detto che i bambini sono più resilienti dei genitori e che sanno adattarsi, meglio dei grandi, alla vita in casa. Ed in genere è vero. Per un bambino l'ambiente domestico può trasformarsi nello scenario di grandi avventure: il lettone o il divano possono diventare una piccola palestra, animata da mille personaggi, e a partire dagli oggetti più comuni possono nascere grandi invenzioni. Per un ragazzino il rovistare nel garage tra gli attrezzi di papà (in sua presenza, magari) può accendere stimoli a livello immaginativo e cognitivo che valgono molto di più di qualsiasi lezione a distanza. Lo stesso può accadere se si fruga nell'armadio, tra i vestiti smessi di mamma, o nei cassetti dove per anni i genitori hanno riposto i più svariati oggetti, perlopiù dimenticandoseli.
La casa può essere luogo di grandi scoperte e di giochi estremamente piacevoli, a patto che ai bambini rimanga qualche momento della giornata per annoiarsi e per giocare in libertà. Perché, nell'ansia di mantenere le routine perdute e di tenerli attivi, la vita di molti bambini probabilmente è rimasta più o meno simile a quella di prima: senza pause, cadenzata da impegni continui e da stimoli indotti dall'alto.
A partire da maestre e insegnanti di tutti i livelli, seguiti da allenatori, maestri di musica, di danza, logopedisti e terapisti di ogni categoria, tutti hanno (abbiamo!) cercato di non lasciare i bambini al loro destino e al rischio di perdersi in queste giornate senza tempo e senza finalità esplicite. C’è da chiedersi, però, se a prevalere non sia tanto il timore che i bambini si perdano o piuttosto quello di «perdere i bambini», di non essere più al centro delle loro giornate e delle loro attività. Se non sia, insomma, la nostra paura a prevalere, quella per il nostro futuro e per il nostro ruolo professionale, rispetto a una reale preoccupazione per i bambini. A tutti questi professionisti, a partire da maestre e insegnanti, va dato il riconoscimento, certamente, del grande impegno e della grande inventiva che stanno dimostrando in queste settimane: hanno rivoluzionato la loro vita, come tutti, si sono formati, hanno creato modalità nuove di fare lezione e relazione. Ma la domanda, io credo, dobbiamo comunque porcela: Lo sto facendo perché loro ne hanno bisogno o perché sono io che ne sento la necessità? Perché questa risposta può aiutarci a dare una misura rispetto a quello che proponiamo ai «nostri» bambini e ai «nostri» ragazzi.
Detto questo, va aggiunto, doverosamente, che non tutti i bambini sono nella possibilità di giocare bene e come vorrebbero. Sono i bambini che incontravamo in terapia, non a caso, e per loro rimanere chiusi in casa a lungo può diventare una grande sofferenza. Così come non tutte le famiglie sono «attrezzate» per favorire il gioco dei loro bambini. E nemmeno tutte le abitazioni: ci sono molte situazioni dove la convivenza continua e protratta a lungo nel tempo risulta pesante e insostenibile, a partire proprio dalle limitazioni fisiche ed economiche, e da ciò che ne consegue.
Sono motivazioni importanti che devono portare delle riflessioni sulle condizioni che stanno vivendo i nostri bambini in questa fase della loro vita. Uscire di casa può aiutare: a sgranchirsi le gambe, a prendere un po’ d’aria e un po’ di sole. Può permettere inoltre anche ai bambini di "cambiare scenario" per qualche minuto, oggi definito dalle mura di casa e - fatto non secondario questo, che meriterebbe un approfondimento a parte - proprio da tutti gli "schermi" che costituivano, fino a un mese fa, lo spauracchio di tutti gli educatori ma che oggi sembra debbano essere adottati in maniera acritica da ogni famiglia per permettere la vita relazionale e formativa dei propri bambini, di qualsiasi età. Ma non c'è solo questo: aprire la porta o il cancello che separa dal «di fuori», dalla strada, può essere un atto simbolico di grande importanza per dare una dimensione più definita alla situazione eccezionale che stiamo vivendo. Perché gli adulti sono in grado, più o meno, di valutare la portata del fenomeno, di farsene un’idea. Senza contare che loro sì, hanno avuto la possibilità di uscire di casa, malgrado il virus. Ma non sappiamo esattamente cosa stia accadendo nella testa dei bambini e quale possa essere la dimensione e la "forma" che loro attribuiscono a quello che gli adulti chiamano "emergenza sanitaria". Sanno solo che la minaccia è lì fuori, dietro la porta di casa. Che impedisce loro di vedere amici, cugini e nonni, che preclude la strada al campetto e al parco giochi, che sbarra la strada a ospiti e amici e che impone ai grandi di «trasformarsi» per uscire, con mascherina e guanti, per non essere colpiti.
Aprire la porta di casa, o il cancello che dà sulla strada, può essere un atto simbolico di grande importanza. Si tratta di un gesto «educativo», che va somministrato come tale. Non significa che tutto è risolto ma afferma, al tempo stesso, che le cose, prima o poi, possono tornare come prima. Prima che quel «prima» venga dimenticato o distorto. I nostri gesti, in questo periodo, hanno assunto una rilevanza a tutti noi precedentemente sconosciuta: il portarci le mani al viso, ogni contatto con l’altro, la distanza che teniamo, ci hanno fatto forse conoscere meglio noi stessi e l’agire degli altri, informandoci inoltre sulla rilevanza fondamentale della prossemica nelle relazioni sociali. È in fondo un patrimonio di conoscenza e di «cura» che non va sperperato con gesti avventati. L'abbiamo fatto per noi e per i nostri cari. Ma con la stesa cura dobbiamo ritornare a compiere gesti simbolicamente rivoluzionari, come aprire un cancello. Facciamolo con prudenza, quindi, pensando al valore pedagogico di quel gesto.
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